LA POSTA DEI LETTORI
Evidentemente c’è un limite a tutto, anche all’antijuventinità.
Mi riferisco alle reazioni post-sentenza, che dimostrano che in Italia è evidente un distacco tra l’emotività della piazza e la realtà dei fatti giudiziari. Nel recente passato, per la Juve questo distacco era stato negativo: a fronte di atti giudiziari nella sostanza poco o nulla significativi, vi era stato il ciclone Farsopoli che conosciamo. Ora, invece, sembra che le cose si siano ribaltate: vi è una realtà giudiziaria molto importante (una sentenza di un tribunale ordinario di primo grado) e per giunta quanto mai negativa. Se la reazione fosse stata in proporzione a quella del 2006, sarebbe successo il finimondo. Invece, si procede tutti come non sia accaduto niente. Non solo: le invettive dei tifosi avversari sono addirittura diminuite in numero, e quando presenti, non hanno più quel potere di prima.
La spiegazione non manca. La possibilità di un processo, negato nel 2006, ha dato a tutti l’opportunità di far emergere la realtà. Nonostante l’orgoglio impedisca a giornalisti e tifosi avversari di ammettere di avere sbagliato, loro lo sanno, lo hanno capito. La forza d’urto che la Juve ha sentito nel 2006 nasceva non solamente da un complotto organizzato, ma dal fatto che si credeva a quel complotto. Ora non ci si crede più.
La sentenza, paradossalmente, è stata forse chiarificatrice da questo punto di vista: invece che segnare l’apice dell’odio contro la Juve , ha manifestato a tutti che sotto c’è qualcosa di poco chiaro. Anche i tifosi delle altre squadre non si aspettavano una sentenza tanto dura dopo quanto emerso dal processo. Evidentemente non è la Juve quella squadra dai poteri tanto forti.
E’ una dinamica presente anche dentro la Juve : non solo a livello di società, ma anche tra tifosi. Vittime del monopolio mediatico delle milanesi, nel 2006 oltre la metà di noi hanno creduto alle accuse fatte. E’ un dato da non sottovalutare: la debolezza della Juve non è stata solo quella della società. Se i tifosi avessero reagito compatti, la Newventus (Cobolli-Secco-Blanc) non avrebbe agito indisturbata per anni. Ora invece sono in pochi a scoraggiarsi, anche se ci siamo svegliati troppo tardi.
E’ chiaro ormai quello che è successo: la Juve è stata vittima di un meccanismo di capro espiatorio. Renè Girard, forse il più grande antropologo di fine secolo, ha studiato a fondo questo meccanismo, facendone la base della sua scienza. Afferma che esso non è un qualcosa legato al mondo tribale o primitivo, ma è un atteggiamento proprio dell’uomo, comune ad ogni epoca e cultura. Quando in una comunità di persone vi è un eccesso di violenza, gli uomini tendono a focalizzarla tutti verso un’unica persona, o gruppo di persone; e nel farlo si convincono fermamente che quella persona sia rivestita di tutte le qualità negative possibili, per cui merita la violenza subìta. Dopo il sacrificio si respira un’aria di pace e tranquillità, perché la comunità è appagata. Ecco perché ne è nata una tradizione millenaria: perché all’apparenza questo meccanismo sembra che porti benessere. In più, colui che ha avuto il merito di eseguire il sacrificio viene in qualche modo divinizzato, idolatrato dal resto della comunità. Ma, appunto, si tratta di un’apparenza. I problemi vanno risolti alla radice, altrimenti riemergono e più forti di prima.
Tutto questo lo ritroviamo perfettamente nella Farsa: ricordiamo tutti il clima ‘smile’ che si respirava dopo il 2006; tutti erano amici di tutti, Roma e Inter a braccetto, e quest’ultima portata su un piatto d’argento da parte di tutti. Si parlava di “nuovo calcio”, quello pulito. E’ durato poco, e la realtà è emersa indipendentemente dalle nuove intercettazioni: proprio negli anni dei successi dall’Inter è emerso odio e veleno verso tutto e tutti, e il movimento del calcio italiano piuttosto che trovare una nuova stagione di prosperità è caduto nel peggior periodo forse della sua storia.
In un livello di drammaticità ovviamente non comparabile, il meccanismo lo rivediamo anche quando i tedeschi credettero che un gruppo di persone fosse la causa dei loro mali e divinizzarono chi si impegnò per eliminare quel male. Fecero male ad altri rovinando anche se stessi, nonostante l’illusione iniziale.
Ora, le società evolute hanno introdotto nuovi modi per disinnescare la violenza al loro interno: sono i sistemi giuridici. Vi sono regole, sempre più elaborate e ricercate in base allo sviluppo della conoscenza umana. Non vige più la vendetta privata né la violenza collettiva: vi deve essere un motivo riconosciuto indipendente dall’emotività delle persone, e c’è una modalità di espiazione della pena già stabilita. Non regole arbitrarie, ma cristallizzazione delle istanze più profonde dell’ animo umano, scandagliato con l’ausilio di tutte le scienze possibili.
Ovviamente, siamo in una società umana, e vige l’imperfezione: può accadere che il sistema, per un motivo o per un altro, si inceppi. Per sbaglio, faziosità, corruzione o ricatto.
Il tifoso attento, non può scandalizzarsi ora. Lo ha fatto già da un pezzo. Il solo aver aperto un procedimento penale come quello di Napoli, o addirittura come quello del “sequestro” di Paparesta (archiviato dopo 5 secondi dai giudici di Reggio Calabria) era già uno scandalo. Conoscendo il connubio tra Pubblici Ministeri e Giudici vigenti in Italia, la sentenza di condanna è solo un’aggravante. Lo scandalo c’era già stato.
Ma il sistema giuridico non ha forza in sé stesso: ne ha fin quando è espressione della verità e della giustizia. Oggi si crede, con buona ragione, ad una verità che non è quella del 2006. Con la sentenza della Casoria c’è quella distanza di cui si parlava all’inizio, a parti invertite rispetto a come dovrebbe essere: la consapevolezza diffusa è più vicina alla verità che non quella del procedimento giudiziario. Il sistema giuridico ha abdicato alla sua missione. Ecco perché la Casoria non ha fatto male. D’altronde, non poteva farlo: puoi farti male solo da te stesso. Come ha fatto la Newventus nel 2006. Moggi e noi con lui non lo abbiamo fatto.
Rinnoviamo a lui il ringraziamento per la sua battaglia giudiziaria, e affermiamo la fierezza di essere juventini. Qualcosa più di un club. Oggi più che mai.
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