venerdì 9 luglio 2010

Del Neri, la soluzione è il 4-2-3-1

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Dal Mondiale sudafricano arrivano grandi conferme sulla linea che il calcio moderno ha tracciato ormai da tanti anni. Anche se tattica e schemi non esauriscono la spiegazione di certi risultati, quando è così diffuso e palese l’affermarsi di un determinato modulo non si può considerarlo un mero fattore casuale. Si tratta del 4-2-3-1, bello e vincente.

In tutto il decennio appena trascorso è stato progressivo l’affermarsi di schieramenti con 5 centrocampisti, a scapito della doppia punta, evoluzione che negli ultimi anni è approdata all’adozione quasi unanime del 4-2-3-1 a livello di tutti i top teams, club e nazionali. Dalle inglesi al Barcellona, fino all’Inter del 2010 che, favori arbitrali a parte, ha avuto una trasformazione europea da anatroccolo a cigno, baciata proprio dal 4-2-3-1. La Champions ha scelto il suo modulo. Il Real Madrid in Spagna si è ora accodato, così come il Bayern M. arrivato ad un passo dal trionfo. In Italia, la Roma di Spalletti è stata una predicatrice solitaria per anni, erroneamente tacciata di pochi risultati: di fatto vincitrice del titolo 2008, è stata la migliore italiana in Champions per diverse stagioni, aggiungendo al tutto un paio di Coppe Italia. Risultati nettamente migliori della gestione capelliana, che però ha determinato debiti pluridecennali. A livello di Nazionali Spagna, Germania, Olanda adottano questo modulo, così come il Brasile: insomma, le migliori.

Quattro difensori, perché quelli finora non l’ha toccati nessuno, poi le due grandi novità: i centrocampisti centrali non sono più due pistoni che fanno su e giù per il campo, ma rimangono sostanzialmente bassi, lasciando il compito di imperversare ai due esterni, per contro liberi di rimanere più alti. E poi, via la seconda punta per aggiungere un giocatore a dare densità a metà campo, con compiti di inserimento in area di rigore alla bisogna. In tutto ciò, l’unica punta rimasta paradossalmente deve essere anche di movimento e partecipare al gioco (Torres, Rooney, Eto’o, Milito). Ne risulta un gioco più arioso, perchè in grado di occupare meglio tutto il campo per la presenza costante sulle fasce di elementi dal potenziale offensivo notevole, e che permette costanti appoggi al portatore di palla in fase di ripartenza, soprattutto nella zona centrale del campo: situazione tattica che alla Juve abbiamo sofferto tremendamente nell’ultimo decennio. Tutto ciò favorisce anche la fase difensiva, meno sottoposta a continuo pressing avversario.

Era doveroso adeguarsi, pena l’esclusione dal grande giro. In Italia non lo abbiamo fatto, peccando della presunzione del “sappiamo noi come si vince”. Mentre nel mondo si cercavano soluzione tattiche per adeguarsi al nuovo calcio, caratterizzato da palloni sempre più leggeri e rigidi (che hanno imposto una spiccata abilità nel fraseggio palla a terra), atleti sempre più veloci e resistenti (che hanno permesso schieramenti innovativi, in cui un giocatore può ricoprire più ruoli perché lo fa in movimento), e tatticismi sempre più affinati (che hanno alzato il ritmo di gioco e curato i particolari delle varie situazioni di gioco come una volta solo in Italia veniva fatto). Tutti fattori che hanno messo sempre più in crisi il ‘modello italiano’, ovvero un calcio basato su una occupazione statica degli spazi, lanci lunghi, semplicismo tattico, attesa della giocata individuale e sfruttamento degli errori altrui, un tempo più comuni nell’arco di una partita.

Alla Juve siamo stati clamorosamente fuori dal giro, e questo anche prima del 2006, con una squadra non adatta negli uomini, nel gioco e nell’atteggiamento a primeggiare nelle infuocate sfide europee ad eliminazione diretta. Dopo gli anni bui dell’ anti-gestione Blanc-Secco, siamo ora qui a ricominciare da capo, con il 4-4-2 di Del Neri. Apparentemente.

I primi acquisti sembrano infatti andare in direzione proprio del 4-2-3-1, piuttosto. Pepe, Martinez, Lanzafame sono sì esterni, ma dalle caratteristiche offensive e non veri centrocampisti in grado di fare tutta la fascia. Analogamente il papabile Krasic. Per non parlare della possibilità di rivalutare F.Melo e Diego: detto anche troppo del primo, ricordiamoci che il fantasista ebbe il suo periodo migliore lo scorso anno proprio nel mese di novembre, quando fu adottato il 4-2-3-1, poi inspiegabilmente messo nel dimenticatoio da Ferrara. Tornerebbe buono anche Giovinco, che perderlo sarebbe davvero un peccato. Mancano il regista ed una punta di spessore, ma adesso ci dovrebbe essere chi pensa a queste cose.

Non solo; si tratta anche del modulo migliore per valorizzare il collettivo, vero vincitore del mondiale sudafricano. Richiede infatti giocatori che sappiano sacrificarsi l’uno per l’altro, con meccanismi che richiedono grande sintonia. Così facendo, si riescono però ad ottenere risultati a volte molto superiori alle qualità dei singoli. E sappiamo bene che al momento, ed ancora per anni, non saremo molto forniti di grandi individualità in squadra.

D’altronde, seppur in forma molto diversa dall’attuale rigido tatticismo, la Juve di Platini può forse considerarsi un grande precursore storico del 4-2-3-1: l’unica punta era P.Rossi, molto mobile e tecnica (tutt’altro che mero opportunista d’area di rigore), con le ali Boniek e Briaschi ad imperversare sulle fasce e il grande Michel, coperto da Tardelli e Bonini, pronto nel mezzo sia a dirigere le operazioni che a prodursi nei suoi inserimenti in area di rigore.

Andò discretamente bene.

THOMAS - EJUVENTUS

1 commenti:

  • 11 luglio 2010 alle ore 00:46
    rollo_tommasi@libero.it :

    Mi sembra che in mezzo a tante verità ho letto sacrosante baggianate sia tattiche che della recente storia sportiva.
    In queste 4 righe "In Italia, la Roma di Spalletti è stata una predicatrice solitaria per anni, erroneamente tacciata di pochi risultati: di fatto vincitrice del titolo 2008, è stata la migliore italiana in Champions per diverse stagioni, aggiungendo al tutto un paio di Coppe Italia." ci sono scritte idiozie senza scuse plausibili. La Roma non fu vincitrice di fatto di nulla; e anche se si fa fatica a ricordarlo nel 2007 il milan ha aggiunto un'altra "coppa con le orecchie" nella sua bakeka.
    E a proposito di Capello, non sarà un mostro di simpatia ma nel periodo di cui si parla ha vinto anche un campionato a Madrid dove mi sembra che ultimamente altri blasonati colleghi non siano riusciti a fare granché.
    Visto che i due discorsi sono tra le basi del ragionamento mi pento di avere anche perso tempo sia a leggerlo che a scrivere un commento.

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