Perché? Perché la Juve non c’è più, né dentro, né fuori dal campo. Non voglio dire che è morta. Però, se qualcuno l’avesse vista in giro negli ultimi mesi, è pregato di avvisarmi. Un altro pareggio, che gli ineffabili redattori del blog ufficiale della Juventus, quello nel quale sei obbligato a pagare per scrivere, sono anche riusciti a spacciare per un passo avanti che muove la classifica. Mi sorge il sospetto di non essere provvista di una dose così massiccia di autolesionismo. E anche due spontanee considerazioni. a) Alla voce infortuni la casella è ancora piena e tra desaparecidos cronici e squalificati, la formazione era quasi scontata. b) Ben venga un allenatore convinto di qualcosa. Fosse anche un modulo che imponga la difesa a tre. Intendo dire un’idea di gioco. Non vado più nemmeno tanto per il sottile e non mi chiedo se l’idea di gioco debba sottostare alle qualità e caratteristiche dei giocatori o i giocatori ad essa, mi basta che funzioni. Sono gli interpreti che mi preoccupano. Grosso, De Ceglie, Caceres, Cannavaro, Chiellini… Non è che non abbia fiducia, è solo un continuo riadattarsi che prenderà del tempo. E il tempo non sempre è galantuomo. Un messia ci vorrebbe, ma Saviano mi ha ricordato nel suo pezzo su Messi che è lui che chiamano così. Allora un profeta, un filosofo. Zaccheroni? E se domandassi un principe? Uno di quelli che passano di là per caso e si fermano a dare un bacio alla principessa addormentata?
Quando? Subito. Se possibile, prima di subito. La stagione è andata. In estate proclami di scudetto. Addirittura di finali di Champions. Poi gli ingranaggi sono iniziati a saltare. I giocatori a sparire. La rosa si è assottigliata e i risultati pure. Sarà andata bene se non ci saremo guadagnati la B sul campo.
Dove? Ci sono sempre due livelli diversi nei quali si giocano i destini di una società di calcio. La squadra e la dirigenza. Chi la fa la squadra? I giocatori. Chi compra i giocatori? Chi amministra il budget? Chi fissa gli obiettivi da raggiungere? Chi sceglie l’allenatore? Chi si occupa di far costruire uno stadio tutto nuovo? I dirigenti. Chi glielo spiega ai dirigenti che dentro lo stadio ci deve giocare una squadra di calcio?
Come? La parola d’ordine sembra essere “rifondazione”. Prima o poi i Del Piero, i Camoranesi, i Thuram, i Trezeguet, avrebbero dovuto appendere le scarpette al chiodo. Solo che il ciclo si è chiuso dentro i tribunali. Non a suon di goal, ma a colpi di carte bollate. Neanche tante, se si sono voluti evitare a tutti i costi i ricorsi e si è preso gusto ai patteggiamenti. Prima o poi qualcuno avrebbe dovuto sostituirlo il capitano, esattamente come lui aveva fatto con Roberto Baggio. Boniperti ricorda con orgoglio che fu lui a condurlo in bianconero e rivendica la paternità dei suoi stessi record abbattuti. Invitandolo sornione a seguirne (al più presto) le gesta anche fuori dal campo. Laddove si intravede che la catena si è spezzata. Perché nessuno è pronto a raccogliere l’eredità di Del Piero, di Nedved e di Camoranesi. I nomi nuovi sono sempre quelli vecchi. Marchisio, l’unica conferma, De Ceglie e Giovinco le solite promesse. I nuovi e brasiliani catalizzatori d’immagine efficaci sulla carta (patinata) e poco sul campo. Chiellini l’unico campione emerso. Sissoko l’unico acquisto indovinato. Caceres e Candreva mezzi eroi un po’ per caso. Ne resteranno dieci. Un’altra spada di Damocle su un gruppo, per sua stessa ammissione, sfiduciato e depresso. Dai troppi progetti intravisti e mai concretizzati.
Cosa? La Juventus. Di questo stiamo parlando. Se qualcuno non avesse ancora capito che è in gioco il suo destino.
Chi? Rendersi conto che se si è passati dai proclami di vittoria ai calcoli prudenti sui punti che mancano alla salvezza un motivo ci deve essere. Che duecento milioni di euro sono stati utilizzati male per ricostruire una squadra di calcio violata e violentata da un black out di irresponsabilità inaudite. Da un corto circuito che ne ha minato le basi con pervicace disinteresse. Da un qui pro quo che ha fatto credere erroneamente a chi ha avuto tutto, potere, soldi, seguito appassionato dei tifosi, l’alibi stupendo di alcuni senatori che per due anni, finché le gambe, il cuore e l’orgoglio bianconero, quello che si imparava nella Juve degli Agnelli, lo hanno consentito, di poter considerare la Juventus come un asset qualunque. E’ mancato l’interesse per i risultati che non fossero di natura economica. La volontà di salvaguardare la storia della Juventus e la voglia di aprire una stagione nuova. Il giocattolo, che già una volta è stato rotto nel 2006, esige una cura attenta e una scelta selezionata di persone che possano intervenire subito restaurando i danni perché riprenda a funzionare. E’ l’ultima occasione. Se si vuole impedire il peggio, se si vogliono evitare scenari ai quali nessuno di noi vorrebbe assistere e che già si profilano minacciosi all’orizzonte.
la juventina
Forza Juve Giusy
0 commenti:
Posta un commento