La Juve è niente. Lo ha scritto Crosetti. Eccone un altro. Uno che in passato si è fregiato del titolo di Juventino, non uno qualunque. Un altro sciacallo. Perché, come ci hanno insegnato, la Juve si ama o si odia. Con quelle strisce bianche e nere che precludono il senso di un accomodamento fosse anche formale. Un’altra iena, alla quale non solo non presteremo ascolto, ma sugli occhi della quale ci concentreremo per infilzare metaforicamente il nostro pugnale, in un esercizio psicologico del quale abbiamo bisogno per tornare ad essere noi stessi. E il nostro pugnale sarà, ancora una volta, la penna. Perché se non c’è fine a questo stupido odio che ci avvelena nell’anima, non possiamo restare a guardare inermi. Inerti. La Juve siamo noi. Rendiamocene conto. Scriviamo un milione di lettere e facciamolo capire a tutti. Una volta per tutte. Stiamo vivendo una situazione di disagio. Parlo con gli amici bianconeri. Ascolto le loro parole. Anch’io come loro ho provato le stesse cose. Orrore. Rabbia. E’ stato per loro che anch’io ho deciso di scrivere di Juve. E’ stato grazie a loro che ho passato i giorni a rivedere la storia della Juve e le notti a cercare le ragioni di quella deflagrazione orribile che è stata calciopoli. Ho capito che non ero sola. Che quella sofferenza e quell’amore non erano solo miei, ma nostri. E che insieme avremmo fatto argine allo tsunami, spento l’incendio che ci divorava e saremmo stati capaci non di ricostruire sopra le ceneri di una Cartagine delenda est, ma di esserci a continuare insieme la nostra strada. Sconforto. Desolazione. Dubbio. Questo oggi è il nemico. Quella serata inconcepibile nella quale è diventata vera non la tragedia, ma la farsa che con cialtroneria ha cercato di scrivere l’ultimo atto. La commedia è finita all’Olimpico, in casa contro il Catania, come in un film becero, erroneamente cult. Ci siamo sentiti investiti non più del nostro ruolo di eroi comprimari, ma semplicemente ridicoli. Nudi, senza più orgoglio, sconfitti dall’ultima in classifica. E abbiamo aperto gli occhi sul male interno alla Juve. L’unico che possa uccidere veramente. Dopo aver tenuto testa alle urla devastanti dei media, alla serie cadetta, ai processi, alle divisioni interne di una famiglia potente che coinvolgevano le sorti della Juve, agli sgambetti tristi degli apparati di stato e delle federazioni sportive, ci ha fatto orrore la nostra pochezza. L’aver ceduto a una languida eutanasia. Quante volte lo abbiamo detto, quante volte lo abbiamo scritto che qualcosa non andava. Che il cervello pensante era il problema. Gli errori si pagano. Senza una dirigenza, senza un allenatore, senza uno staff di preparatori atletici adeguati si voleva vincere. Appuntarsi sul petto la terza stella. Ci hanno lasciati soli. Li hanno lasciati soli. I giocatori, il “buon” Ferrara. Ci stanno provando anche con Bettega. Facili i paragoni con la prima Juve della Triade. Persino una EL da conquistare. Solo che bisognerebbe accorgersene. E non sappiamo se John Elkann queste cose le ha capite. Se gliele hanno raccontate, come facciamo noi da tanto tempo. Senza più dignità di squadra, di società, la voce si sta spegnendo. L’entusiasmo si sta esaurendo. E per non dover soffrire ancora stiamo imparando ad accettare la sconfitta. Stiamo prendendo le distanze dalla nostra stessa sofferenza. E stiamo uccidendo la Juventus. Stiamo diventando complici di chi vorrebbe staccare la spina. Semplicemente perché non è questa la Juve che vogliamo. A Roberto Bettega hanno detto di tutto. I suoi ex amici. Che non avrebbe dovuto accettare di tornare al capezzale del moribondo. Dio sa se lo avrebbero meritato. Ma nel cuore e nella testa di Roberto Bettega c’è solo la Juve. E sono certa che è per la Juve che ha fatto quello che doveva fare. Facciamolo anche noi. Spieghiamolo ai Crosetti di turno, ai Severgnini di turno, che siamo ancora qui. Vivi. Innamorati. Terzi in questo campionato di mediocri. E cominciamo con il chiedere che la Juve non è il posto dei mediocri. Con il chiederci chi ancora si merita di essere chiamato Juventino. Dentro e fuori Vinovo. Dentro e fuori Corso Galileo Ferraris, 32.
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mercoledì 13 gennaio 2010
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